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Il canto del creato

di Oreste Paliotti

 

Il linguaggio non verbale degli acquerelli di Giuseppe Mùrdaca, frate e pittore locrese. Un talento messo a servizio della missione. Un approdo di quiete e letizia per riconciliarsi col creato


Che si tratti di paesaggi toscani o calabresi, architetture urbane, vedute di marine, laghi e boschi, o invece di fiori e frutta, l’impressione che suscitano in me gli acquerelli di Giuseppe Mùrdaca, oggi in mostra presso il Museo diocesano consentino, è quella di una bellezza pacificante, che insensibilmente invita al raccoglimento. Può sembrare insolito, a prima vista, che spazi come questi, riservati all’arte sacra, accolgano per l’occasione soggetti più profani come certe immagini di natura; in realtà il risultato è lo stesso, azzardo a dire, che se si fosse davanti ad una icona o ad altra opera finalizzata al culto: un invito al contemplare le opere belle del Creatore.

La risposta, del resto, è nel titolo stesso dell’esposizione, “Il canto del creato”, e nella persona dell’autore, il parroco di Sant’Antonio a Rende, affettuosamente chiamato fra’ Peppe: un francescano che dalla spiritualità del Poverello d’Assisi ha colto la fraternità dell’uomo con le altre creature, figlie tutte d’un Padre che è Amore.



Locrese di nascita, inclinato all’arte fin dalla sua giovinezza, dopo essere entrato nell’Ordine dei Frati minori nella provincia dei Santi Sette Martiri di Calabria, fra’ Peppe s’imbatte nel 2002 in un pittore originario di Acri, che frequenta spesso il suo convento: l’amicizia fraterna con il prof. Filippo Gallipoli segnerà una svolta della sua vita. «Il giorno in cui gli ho confidato di provare una “santa invidia” per chi sapeva usare il pennello, mi ha risposto semplicemente: “Ma certe tecniche si acquisiscono”. Ed io: “Non so tenere in mano la matita, figuriamoci il pennello!”. “Se vuoi, posso darti io delle lezioni”. Precisando: “Tutti possono imparare a dipingere. L’arte però è un’altra cosa”. Ho accettato la sfida. Per prima cosa mi ha insegnato il disegno, la prospettiva, l’anatomia umana… sempre prodigo di suggerimenti, non solo artistici: come quando, stimolandomi ad un esercizio di osservazione riguardo a ciò che ci circonda, mi ha aiutato a non essere superficiale nel mio ministero sacerdotale, a fare attenzione al fratello che ho davanti quando mi apre il cuore».

Varie le tecniche pittoriche apprese da fra’ Peppe. Ma con quella dell’acquerello è amore a prima vista. Affascina per la freschezza, la luminosità, l’apparente spontaneità (anche se non è da tutti padroneggiarla): imprevedibili, e di grande suggestione, gli effetti di colore e forma sul foglio bagnato. Ne è prova, in mostra, Tempesta sul faro, il cui cromatismo sfumato ricorda molto William Turner, il pittore inglese prediletto dal frate locrese.

Per quasi 14 anni egli si diletta a dipingere a tempo perso, come relax. Poi l’intuizione di un talento che può essere messo al servizio della sua missione. «È stato quando, per contribuire ad un mercatino di beneficenza, ho offerto alcuni miei lavori. Venduti nel giro di poco tempo, ne ho portati altri: anch’essi andati a ruba. Non mi reputo assolutamente un artista, uno che dice qualcosa di nuovo nel campo dell’arte; però esprimo un mio sentire che mi vien facile attraverso l’acquerello. Da allora ho utilizzato questa forma di pittura per sovvenire alle necessità dei poveri con le offerte spontanee che ne ricavo».

Stimolato afare una mostra coi suoi lavori, inizialmente fra’ Peppe tergiversa: «Essendo il mio primo compito occuparmi della gente attraverso il mio ministero, non ne avrei avuto il tempo. Ho pensato così di sostituirla con un mini-catalogo da offrire a chi era interessato. Per me è stato illuminante il commento di mons. Rino Fisichella, al quale avevo regalato una copia: “Ma questa è una forma di evangelizzazione attraverso l’arte”. La prima mostra l’ho fatta a Locri nell’aprile di quest’anno, grazie anche – questo devo dirlo – alla mia comunità religiosa, che mi ha sempre incoraggiato e sostenuto. Ho accettato di farla solo come tributo alla mia città natale e perché si esauriva in due giorni. Ed ora questa a Cosenza. L’ho chiamata “Il canto del creato” perché vuol essere una lode cosmica al Creatore, un modo di risalire a lui per il tramite delle creature e anche per invitare l’uomo ad un amore e rispetto maggiori verso il creato. In tal senso ho accolto con gioia l’enciclica Laudato sì, nata dalla riflessione di papa Francesco sul Cantico delle creature di san Francesco, in rifermento all’attuale situazione del nostro pianeta».

Coerentemente con la sua vocazione, fra’ Peppe ha così trovato il modo per comunicare un messaggio spirituale, oltre che dal pulpito, anche con un linguaggio non verbale: dipingendo natura e paesaggi. Alla domanda se ha mai pensato di trattare qualche soggetto sacro, risponde: «No, perché le mie conoscenze di anatomia artistica sono piuttosto limitate. In seguito, esercitandomi, potrei anche provare…». La sua è fondamentalmente una pittura evocativa: sono impressioni d’infanzia, di luoghi visitati, immagini riprese da cartoline e da libri reinterpretate, filtrate attraverso la memoria del cuore. A tale riguardo, molto ammirati per colori e vitalità del tratto impressionistico sono i vari acquerelli raffiguranti peonie, «ricordo di quando mi trovavo in un convento dove prosperava una pianta di così bella di questi fiori che la gente veniva apposta ad ammirarla».

Tutte positive le impressioni dei visitatori: «Nei miei acquerelli dove spesso amo dar rilievo a particolari umili e semplici, la gente trova un approdo di quiete, di letizia, è aiutata a riconciliarsi col creato; qualcuno li ha definiti “una forma di preghiera”. E questa, come puoi capire, è per me la cosa più importante». E conclude: «Oggi c’è tanto bisogno di un cristianesimo gioioso. E la pittura può essere una via per esprimere questa gioia attraverso la bellezza del creato».